La guerra in Africa di Gaudenzio Zaninetti

Fu il 7 febbraio 1941 che il pratese (originario di Fontaneto) Gaudenzio Zaninetti sbarcò con i suoi compagni a Tripoli.
Chiamato alla guerra con nemmeno i vent'anni compiuti aveva accettato con un certo entusiasmo quella possibilità che il regime fascista con la sua retorica ed i suoi "insegnamenti", affriva ai suoi figli di diventare protagonisti del mondo e della storia. Zaninetti - come tanti altri - ci aveva creduto, ed il distacco dal suo mondo contadino lo accettò con tristezza sì, ma anche con la consapevolezza di ritornare a casa contento e vittorioso come i nostri padri dopo parecchi anni di guerra.
Quel giovanile entusiasmo lo portò fin da subito ad emergere rispetto agli altri venendo promosso, appena terminata la preparazione, a soldato scelto e poi a caporale. Ma quelle erano solo esercitazioni. La guerra era un'altra cosa.
Sbarcò a Tripoli e fu assegnato al 26° reggimento artiglieria della divisione "Pavia". Pochi giorni dopo giunse in Africa settentrionale anche l'Africa- Korps guidata da Rommel, cui era aggregata la divisione corazzata italiana "Ariete", cui fece parte in seguito anche l'altro pratese Rolando Felice, catturato l'ultimo giorno della battaglia di El-Alamein.
Prende subito posizione: Cari genitori se volete sapere preciso dove sono prendete la carta geografica e cercate nella Libia il deserto della Sirte e lì mi trovo io. Non ha ancora provato il caldo eccessivo della regione, ma ha già provato le tempeste di sabbia; nonostante tutto il suo entusiasmo è ammirevole. Non si lamenta di nulla salvo la preghiera rivolta al suo giovane fratello di non spedirgli le solite cartoline con l'immagine di cavalli, ma piuttosto mi manda una bella signorina che qui non si vede.
Incominciano le difficoltà anche se per il momento solo legate alle condizioni meteorologiche e già a metà maggio '41 scriveva: Cara mamma tu mi dici che non fa ancora caldo invece noi qui per essere solo il mese di maggio c'è dai 55 ai 60 gradi di calore che non si può resistere in nessun posto. Alcuni giorni dopo accenna anche al vento: c'è un caldo dell'inferno e un vento sempre forte che vola la sabbia. E' un ambiente infernale che mette già di per sé a dura prova il fisico di quei giovani, che si sentono spossate dalla fatica anche senza fare nulla. Le riserve d'acqua sono necessariamente razionate, e la pulizia individuale ne risente dando piena vita ai pidocchi. Chiede anche quello nelle sue lettere: fammi anche il favore di andare dal farmacista, e prendi una scatoletta di mom per i pidocchi che qui con questo caldo non mi lasciano in pace.
Dal mese di giugno aumentano le difficoltà per Gaudenzio perché oltre alle condizioni ambientali proibitive, entra il linea di guerra sul fronte di Tobruk. Incomincia a dissiparsi quell'entusiasmo iniziale in cui aveva scrito che avrebbe voluto fare la firma per giungere al grado di sergente. In quel momento la guerra per lui era solo agli inizi, ma già scriveva: spero presto di raggiungere anch'io la mia famiglia e non ritornare più sotto la vita militare.La lettera è timbrata dalla censura ma evidentemente l'addetto aveva chiuso un occhio su una frase chiaramente di carattere "disfattista". E l'aveva chiuso bene quell'occhio perché nella stessa lettera vi erano accenni anche alla stessa censura: Caro babbo tu mi dici quando c'iò qualche cosa di fare sapere, devo farlo sapere con l'alfabeto mors, ma non si può perché la censura non lo permette piuttosto non farò sapere in differente modo.
Dal mese di luglio è nominato capo-pezzo, e nelle lettere, seppur cerchi di tranquillizzare i familiari sull'ambiente che lo circonda, si nota chiaramente la sua stanchezza. Il 18 scriveva alla sorella: ò poi sognato anche che ero a casa che aravo i campi e quando poi mi svegliavo mi trovavo invece dietro delle pietre che dormivo e magari il sole mi faceva bruciare la pelle. Cara sorella che vuoi, fortunate sono le donne che non provano che cosa vuol dire la vita militare in questi tempi. Essere in caserma non è niente alla sera esci in libera uscita fai arrabiare qualche ragazza perché la scherzi. Là è ancora un paradiso qui invece è un inferno. E le oscillazioni del suo umore le trasmette alle lettere dirette ai famigliari, e così se un giorno scrive che sta molto bene non mi posso lamentare pur essendo in combattimento; qualche giorno dopo sente la necessità di sfogarsi con coloro che lo possono comprendere: Cara mamma non stare in pensiero per me che io sto molto bene ora solo che il mio corpo è arrivato quasi a pari quello del babbo quando viene l'ora di mangiare perché non si può avere quello che si desidera il corpo si fa una fumata e non si mangia. Sono molto stufo di questa vita.
L'assedio di Tobruk iniziato nel giugno del '41 si protrasse fino al mese di novembre quando gli inglesi dettero via all'operazione "Crusader" contro la Cirenaica con lo scopo di allentare la tensione su Tobruk. Il ritmo dei combattimenti costrinse Rommel a ritirarsi. Durante quel periodo Zaninetti rimase ferito ad un braccio ma non volle comunicarlo ai genitori. L'11 settembre infatti scriveva alla madre: mi scuserai tanto se ho ritardato a scrivere, ma non potevo perché mi è venuto un'infezione in un braccio ma ora va bene. Il suo impegno fu però anche premiato con la nomina a caporal-maggiore, con un encomio solenne:

Durante la permanenza del suo reparto in prima linea sul fronte di Tobruk dava costante prova di elevati sentimenti militari e di tenace spirito combattivo. E con una croce al valor militare: Capo-pezzo, con mirabile esempio e sprezzo del pericolo, dirigeva il tiro preciso del proprio pezzo contro mezzi corazzati arrestandoli e ponendoli in fuga.


Terminata l'operazione "Crusader" a El-Aghelia iniziò la controffensiva italo-tedesca. Il 21 gennaio riconquistarono Agedabia. Ai primi di febbraio Zaninetti è a Bengasi e gli italo-tedeschi avanzano ancora per 200 chilometri fino a El-Mechili. Dalle lettere di quei giorni trapela l'ottimismo e la certezza che ormai la guerra sia alla fine. Al padre scriveva il 2 febbraio: Ti faccio sapere che in questi giorni io sto molto bene sono dentro in deserto ma non importa sto bene, il nemico è andato centinaia di Km. di distanza. E continuava: Mentre che ti scrivo penso che un anno fa come oggi ero già sulla nave che aspettavo la sera per partire era ancora bello allora che non si sapeva ancora quello che si sa oggi ma questo non importa è passato un anno e un altro passerà basta la salute poi si fa tutto quel che si può per la grandezza della patria e per una vittoria finale.
A metà marzo la "Pavia" subisce un forte assalto dagli inglesi riuscendo però a tamponare nonostante le pesanti perdite. Dalle sue lettere non trapelano ovviamente i fatti di guerra che sta vivendo, ma continua a chiedere le consuete informazioni sulla vita del paese ed i lavori di campagna. Il 28 marzo '42 si rammaricava della morte del conte Gibellini, proprietario della cascina "Guardasole" affittata ai Zaninetti e si lamentava di una vita che non poteva andare avanti: non si può più a sfamarsi una volta per l'altra perché la razione è diventata la metà di quella che davano una volta e le fatiche sempre stanno aumentando e non si ha più la forza di stare in piedi. E concludeva: avrei tanto da dirti ma non posso.
Ad aprile la divisione avanzava ancora e stabilì la linea del fronte nella zona di Ain El-Gazala proprio di fronte all'8° armata inglese. Lo scontro iniziò il 26 maggio e continuò per quasi un mese fino a quando il 21 giugno riuscirono a riconquistare Tobruk. Sono di questo periodo alcune delle lettere più toccanti di Gaudenzio. Io sono in una condizione non troppo buona. La situazione è sempre la solita e il vitto è scarso ma ora col caldo basta, ma prima nella stagione fresca non si riusciva a togliere la fame. Se va avanti ancora così non so capire come andrà a fine perché ormai sono due anni che siamo in guerra e non si vede nessun risultato ed il morale và molto basso.
Caro babbo, io dico questo a te ma non fare sapere niente alla mamma, tu che hai provato la vita di guerra prima di me sai benisimo cosa vuol dire.
Cerca di fare coraggio alla mamma e non si prenda qualche cosa perché io qui a dirti il vero sto molto male, ma non posso dirti tutto. Spero di poter raccontare tutto se Dio mi da la forza di sopportare a tute le fatiche, e poter tornare fra voi che tanto mi aspettate.
Alla sorella scriveva il 19 maggio: Speriamo che tutto questo vada a finire presto così tutti ritorneremo a casa a fare felici la nostra famiglia oppure la moglie come qui con me ce né tanti del 1910 - 1909 - 1908 tutti con moglie e con figli che piangono la lontananza di suo padre lontano eppure loro sono qui che non pensano altro che il giorno del suo ritorno a dare pane ai suoi figlioli, certo che tante volte si mettono a cantare e poi magari quando sono soli piangono ma tanti momenti sono anche loro in nostra compagnia per poter dimenticare qualche cosa, puoi capire sono io il più giovane tutti sono vecchi e non so come devo fare tante volte a cercare uno per parlare, uno à la moglie uno è parecchi anni che è fidanzato e tante volte si sta bene soli perché tutti anno da pensare per la loro vita che tanto è triste. Alcuni giorni dopo spediva a casa un vaglia di 500 lire pregando la mamma di mandarne 100 a Sant'Antonio e le dirai che pregano per me che sono tanto lontano e in mezzo a tenti pericoli. Per problemi postali non giunsero a destinazione, ed anche le 100 lire per le preghiere ritornarono di nuovo nelle tasche di Gaudenzio.
Due giorni prima della riconquista di Tobruk scriveva a sua madre: certo che in questi posti non si sta bene nemmeno da morti perché sono posti dove il sangue corre e bagna la terra.
Erano tutti sfiniti e Gaudenzio non ne faceva mistero nelle sue lettere anche se non accennava a specifiche operazioni di guerra. Rimmel spinse ancora le sue truppe fino a Marsa-Matruk dove giunsero il 27 giugno, e poi iniziò la prima delle tre battaglie di El-Alamein. Al 1° luglio si trovarono in mezzo ad una violentissima tempesta di sabbia che li bloccò tutto il giorno, poi la "Pavia" fu spostata sul saliente di Ruwesait. Non bastavano le tempeste di sabbia, il caldo soffocante, la stanchezza fisica, la fame, la sete, la paura dei continui attacchi. Non bastava quello, e si aggiungevano le continue incursioni della R.A.F. Tra la notte dal 2 al 3 luglio gli aerei inglesi sganciarono sui soldati una media di 10 tonnellate all'ora di bombe.
Il 13 luglio 1942 in un momento di pausa scriveva una lettera al padre. L'ultima.

Carissimo babbo

Da qualche tempo non posso farti avere mie notizie ma ogni tanto un poco di libertà mi viene e dedico questi pochi minuti per scrivere poche parole a casa che tutti mi volete bene.
Caro babbo la mia salute è ottima così pure credo di te e tutta la famiglia. In questi giorni sono come uno senza genitori, senza casa, la posta mi giunge ogni 10/12 giorni. Speriamo che tutto questo finisca e così saremo bene organizzati come si era prima. Pareva bello vedere arrivare la posta, ma ora niente. Si vive senza un piccolo conforto. Sempre nel pericolo. Il proverbio dice che cavallo vecchio ma la sella sempre nuova; però mi consolo perché finora la salute mi accompagna e così tiro avanti. Però non vedo l'ora che tutto finisca per tornare a casa e dare un poco d'aiuto a voi che siete tanto soli con tanto lavoro. Spero che i lavori vanno sempre bene come al solito e che il tempo vi aiuti un poco. Ora mi trovo nei pressi (censurato)
Mi saluterai tanto la zia Marianna che spero sia spesso con voi e spero che anche lei sia sempre in ottima salute.
I vaglia che avevo mandato non sono partiti e mi hanno restituito il denaro.
Ora termino questo mio male scritto mandando i miei più cari saluti e baci a tutti in famiglia.
Sempre ricordandovi vostro figlio Gaudenzio Ciao
Arrivederci presto vittoriosi.

Fece appena in tempo a partire la lettera che il giorno successivo si verificò un grave scontro. Alla sera del 14 la divisione "Brescia" venne investita massicciamente da una divisione neozelandese che riuscì a sfondare il fronte e a prendere alle spalle la "Pavia" mentre stava combattendo frontalmente con la 5° divisione indiana. Furono ore interminabili di cruento combattimento finchè alle ore 10 del giorno 15 luglio il II/27° fanteria ed il 1°/26 artiglieria cessavano di esistere. Zaninetti faceva parte di quel 1°/26 artiglieria. Alla fine di quel giorno 15 luglio il Ruwesait era in mano agli inglesi e la divisione neozelandese comunicò di avere nelle proprie mani 1.600 prigionieri, e c'era anche un grandissimo numero di morti, più italiani morti di quanto io abbia mai visto su di un campo di battaglia. Come disse il comandante inglese.
Il corpo di Gaudenzio Zaninetti non venne ritrovato tra le migliaia di morti, non si sa quindi esattamente quale fu la sua fine. Da documenti ufficiali risulterebbe il suo ferimento il giorno 14, mentre il verbale di "irreperibilità" risulta del 15. Secondo fonti non ufficiali dopo essere stato ferito fu portato in un ospedale da campo ed un improvviso attacco nemico fece saltare in aria tutto l'ospedale non permettendo quindi l'identificazione di coloro che stavano in esso.
Non ricevettero più notizie di Gaudenzio. Dopo oltre tre mesi - il 21 ottobre - il ministero della guerra tramite la federazione dei fasci di Novara informava i famigliari che il loro figlio era stato ferito senza nessuna altra notizia. Furono attivate tutte le strade possibili per saperne qualcosa in più, ma ciò non accadde.
Il 25 gennaio 1944 l'ufficio stralcio del ministero della guerra comunicava al podestà del comune di Fontaneto, e per conoscenza alla Croce Rossa Internazionale che Zaninetti Gaudenzio, già segnalato ferito, risulta disperso in Russia. Il Commissario Prefettizio di quel paese rispondeva permettendosi di osservare che in tale segnalazione si deve essere incorso nell'errore di segnalare la dispersione in Russia in quanto lo Zaninetti risultava alla data del 13/7/1942 ferito ad El-Alamein (Egitto) e non in Russia.
Stando così le cose e non parendo che il medesimo sia stato trasferito dall'Egitto alla Russia essendo ferito, si prega di comunicare a questo comune quale sia effettivamente la posizione del Caporal Maggiore Zaninetti Gaudenzio di Serafino.
Il verbale di "Irreperibilità" venne redatto a Roma il 20 agosto 1946. Ancora nel 1949, a sette anni dalla scomparsa i famigliari cercavano di avere notizie del loro figlio rivolgendosi alla direzione dell'ospedale militare principale di Napoli. Il 22 luglio vi fu forse l'ultima risposta che comunicava che non potevano dare alcuna notizia perché tutto il carteggio sanitario antecedente al 1943 era stato distrutto per eventi bellici.
Terminava in questo modo la triste vicenda di un giovane ventenne per oltre un anno tenuto come un cavallo da fatica, come ebbe a scrivere lui stesso in una lettera al padre.
Come lui tanti altri, a milioni, dove la pazzia di pochi ha determinato la distruzione e la morte di molti con la convinzione della grandezza della patria. Come se la patria fosse grande solo per la potenza delle armi.
Di Gaudenzio Zaninetti, classe 1920, e morto nel 1942, è rimasto solo a testimonianza della sua esistenza in vita 250 tra lettere e cartoline postali, ed una manciata di fotografie. Non è rimasto neppure un luogo ove i suoi famigliari e conoscenti potessero piangerlo, e di tutti noi per meditare sulle sue spoglie.

 

 

Immagini fotografiche

Gaudenzio Zaninetti

Gaudenzio Zaninetti a destra in compagnia di un amico

 

La campagna di Grecia di Valentino Guglielmetti

"C'è nessuno fra voi, o camerati, che ricorda l'inedito discorso di Eboli pronunciato nel 1935, prima della guerra Etiopica? Dissi che avremmo spezzato le reni al Negus. Ora, con la stessa certezza assoluta, ripeto assoluta, vi dico che spezzeremo le reni alla Grecia".

Era il 18 novembre 1940 quando Benito Mussolini pronunciò questa frase nell'ambito di un discorso tenuto ai gerarchi fascisti. In quel momento era la Grecia che aveva ammaccato le reni italiane, ed avrebbe continuato se non fossero intervenuti i tedeschi.
La tragica avventura della campagna di Grecia era incominciata 20 giorni prima di quel discorso quando alle tre di notte del 28 ottobre l'ambasciatore italiano ad Atene aveva consegnato al presidente greco Metaxas un ultimatum con scadenza tre ore dopo per poter occupare quello stato come garanzia di neutralità, e "garanzia della sicurezza dell'Italia" nel conflitto che era da poco incominciato.
In pochissimo tempo Hitler aveva occupato buona parte dell'Europa ed era già iniziata la "Battaglia d'Inghilterra", senza sentirsi in dovere di concertare le mosse con gli alleati italiani. Da parte sua Mussolini volle ripagarlo con la stessa moneta andando ad occupare la Grecia senza il consenso preventivo di Hitler.
Tra le 5,30 e le 6,00 di quel mattino iniziò l'invasione delle nostre truppe già pronte sui confini, ma cio che sarebbe dovuta essere una passeggiata si trasformò in un'immane tragedia seconda solo alla spedizione italiana in Russia. Nei primi tre giorni ci fu una breve avanzata senza significativi combattimenti. L'unico vero nemico era il maltempo in cui la pioggia dirompente quasi scioglieva la divisa grigioverde costruita con materiale "autarchico". Il 1° novembre i greci passarono al contrattacco ed in pochi giorni spezzarono le reni alle nostre divisioni, e soprattutto alla gloriosa "Julia" sul massiccio del Pindo.
Fu in conseguenza di questa prima disfatta che Mussolini tenne quel famoso discorso, ma in quegli stessi giorni avevano iniziato una seconda controffensiva che in altrettanti pochi giorni li portarono ad occupare un buon terzo della "nostra" Albania. In poco più di un mese si era verificato l'esatto contrario di come si erano proposti i vertici politici e militari dell'Italia fascista: invece di occupare la Grecia, era quest'ultima che aveva occupato buona parte della "nostra" Albania.
Da quel momento iniziò una logorante guerra di trincea che si protrasse fino agli inizi del 1941 quando i greci iniziarono altre offensive. Ed è in questo contesto che entra in guerra il pratese Valentino Guglielmetti in forza presso il 58° Reggimento Artiglieria della Divisione "Legnano".
Valentino - al di fuori del massacrante e rischioso impegno che ha coinvolto un'intera generazione mandata al macello per la "Grandezza della Patria" - ha avuto il gran merito storico di far pervenire alle generazioni future le sue impressioni del momento annotandole su di una piccola agenda. Il suo scritto pertanto non è un diario di ricordi scritti posteriormente agli eventi accaduti, ma configura una immediata realtà, che sebbene espressa con poche righe, ci fa conoscere i suoi sentimenti così comuni a tanti suoi coetanei che non hanno avuto la fortuna di ritornare vivi.

Venerdì 10 gennaio. Partenza da Brindisi col piroscafo "Piemonte" alle ore 11,30. Animi un po' turbolenti. Arrivo Valona ore 23,40.
Sabato 11 gennaio. Alle ore 1 in marcia sotto l'acqua verso il nostro accampamento. Dopo tre ore di marcia si passa la notte col telo in testa sotto le piante. Tutti fradici.
Martedì 14 gennaio. La giornata l'ho incominciata col cambiare posto alla tenda. Appena fatto, acqua a volontà. Dopo il rancio fui comandato di corvè, sempre sotto l'acqua. Già soldati son morti per l'avvelenamento del tabacco.
Domenica 19 gennaio. Dopo aver sempre lavorato oggi per la prima volta in vita mia abbiamo preso dal Comandante le gentili parole del vigliacco, dei senza Patria. Amaramente abbiamo dovuto abbassare la testa per non rovinarci noi e le famiglie.
Lunedì 20 gennaio. Belle novità! Oggi abbiamo avuto due incursioni aeree. Ci hanno regalato alcune bombe senza danni. Alla sera preparativi per la partenza…..E la notte me la passai in giro per l'accampamento con una di arena fenomenale.
Martedì 21 gennaio.
Partenza da Valona per il fronte. Numerose colonne ci seguivano e molte ci precedevano. Tutta balda gioventù che marcia verso il suo destino; e ogni ospedaletto che si incontra c'è il Camposanto con molti morti.
Venerdì 31 gennaio. Partenza di notte per le strade tutte affiancate di burroni dove si vedevano tante macchine al fondo. Il Signore ci ha guardati. Abbiamo visto la morte da vicino. Il fatto è stato uscendo la macchina di strada.
Sabato 1° febbraio. Finalmente siamo arrivati in linea con i nostri pezzi e abbiamo incominciato a vedere le bombe dei greci a scoppiare da vicino a 100 metri. Ma tra noi il morale è altissimo. Si prendeva come uno spettacolo da film.
Domenica 2 febbraio. Sotto il fuoco continuo della nostra artiglieria e sua artiglieria scrivo il mio diario. Questa è una cosa che non a tutti può capitare. Oggi sono molto allegro. Abbiamo rubato tre gavette di vino, per questo il nostro morale è molto alto, essendo anche uscito il sole.
Martedì 4 febbraio. Verso le undici del mattino venne l'ordine di stendere una linea telefonica. Siam partiti sotto l'acqua che veniva giù torrenti. Dopo cinque ore siamo arrivati tutti fradici; bagnati fino alle ossa e per finirla non trovammo più rancio, e così ci siam coricati.
Venerdì 7 febbraio. Appena fatta la adunata mi hanno comunicato che dovevo partire per l'osservatorio. E così fu. Sotto i colpi delle granate Greche abbiamo percorso il tratto di strada che ci separava dal nostro accampamento all'osservatorio. E qui ho visto le linee Greche.


L'osservatorio di Beshishtit a quota 1252 era situato a sud del complesso montagnoso del Mali-Shendeli. Sotto si apriva la valle della Vojussa con Dragoti e Tepeleni. All'inizio furono proprio i battaglioni della "Legnano" insieme alle Camicie Nere del 26° CCNN a sopportare le offensive greche.


Lunedì 10 febbraio - Bescestit - Oggi giornata indimenticabile. Le granate scoppiavano a qualche decina di metri. Non mi scorderò mai questo giorno.
Venerdì 14 febbraio - Bescestit - Oggi è il mio onomastico e anche i Greci pare che lo sappiano perché le loro granate mi fischiano alle orecchie con una rabbia spaventosa. Ma il cuore è abbastanza calmo.


Il giorno precedente era iniziata la "Battaglia di Tepeleni" che coinvolse la "Sforzesca" mentre tutto il restante settore era violentemente bombardato.


Sabato 15 febbraio - Bescestit - Pare che l'inferno vomiti i suoi demoni. Si è scatenata una grande offensiva. Apparecchi, artiglieria e fanteria. E' tutto ferro e fuoco. Si vede feriti e morti dappertutto. Non si scherza più!


Fu quel giorno 15 che si allargò l'offensiva greca continuando anche i giorni successivi. Si contarono migliaia di morti intorno all'osservatorio.


Domenica 16 febbraio - Bescestit - Il primo giorno che la morte si abbatte sul mio gruppo. E' molto spaventosa. Le granate cascano come la grandine. Si cerca un buco come i topi, e s'incomincia ad essere più prudenti e guardinghi.
Lunedì 17 febbraio - Bescestit - Io con dei compagni ci troviamo all'osservatorio. Ai nostri fianchi abbiamo le prime linee. La sveglia è presto, e molto brusca. La battaglia cresce da un momento all'altro. Si teme molto…Ora sono le 17 e non cerca a diminuire.
Martedì 18 febbraio - Bescestit - Terzo giorno della loro grande offensiva. Qui la battaglia si fa sempre più aspra. Sono attacchi e contrattacchi, ed anche il tempo si unisce agli uomini. Pioggia e vento con una rabbia incredibile…Questa notte fu ferito un compagno.
Mercoledì 19 febbraio - Bescestit - 4° giorno. Anche oggi non cerca di diminuire ma si fa sempre più tremenda. I morti e i feriti non si contano più. Son sempre fermi nel medesimo posto. Si lotta per riprendere ogni passo che si perde. E il nostro osservatorio è fra i due fuochi.
Giovedì 20 febbraio - Bescestit - 5° giorno. Pare che anche noi siamo stati visti dal nemico che ci ha regalato un buon numero di granate. Ogni buco è stato occupato nascondendo la testa come le rane. Scoppiavano con una rabbia diabolica, ma anche questa volta la fortuna ci ha guardati. Niente feriti.
Lunedì 24 febbraio.
In due giorni una galletta e mezza pagnotta. Giornate da fame per le nostre giovani macchine. Pazienza. Il motto è di resistere ad ogni costo per la Grandezza della Patria.
Martedì 25 febbraio. Anche oggi la lotta continua aspra fra le due linee. Si lotta per riconquistare il metro di terreno che si perde. Io dal mio osservatorio assisto a questa lotta guardando lo sfilamento dei feriti che sono numerosi.


Fra il 24 e il 27 febbraio entrò di nuovo in campo la "Julia" sostituendo la "Legnano" ormai semidistrutta, ma Valentino pur facendo parte di essa rimase all'osservatorio.


Venerdì 28 febbraio. Altra nottata infernale. Gli scoppi e i lampi si susseguono con una celerità fantastica, e il crepitio delle mitragliatrici si sente molto rabbioso e incessante. Le loro pallottole ci fischiavano agli orecchi costringendoci ad essere molto prudenti nel guardare e seguire questo combattimento molto interessante. Da punto in cui mi trovo molto avanzato fra le due linee posso seguire il movimento dei due fronti. Io e i miei compagni che ci troviamo qui all'osservatorio della nostra artiglieria siamo sottoposti a duri bombardamenti che ormai ci siamo fatta l'abitudine. Il nostro compito di telefonista è molto pericoloso perché bisogna ogni ora del giorno e della notte, aggiustare le linee che di continuo sono spezzate dalle loro granate. Sotto questo fuoco continuo bisogna aggiustarla per tenerci sempre in collegamento con la nostra artiglieria che da noi deve avere i dati di tiro. Questo è il mio compito.
Venerdì 7 marzo. Per un artigliere è una grande cosa, deve combattere con i battaglioni d'assalto. Le granate dei mortai a metri da noi cadevano; raffiche di mitraglia, pareva un finimondo. Si credeva ormai giunta la fine. Abbiamo messo il cuore in pace sicuri ormai della morte. Ma Dio ci ha aiutati.
Martedì 11 marzo.
Alle prime ore di questo giorno c'era una calma che mi impressionava. Difatti fu così. Nel pomeriggio si è svolto un combattimento molto sanguinoso. I colpi non si potevano più distinguere da quelli che arrivavano con quelli che partivano uniti alle raffiche di mitraglia. Era una scorribanda infernale.


Nei giorni precedenti ed in quelli successivi il Beshishtit fu perso e ripreso parecchie volte e non è dato sapere quante fossero state le perdite totali. Le perdite italiane dal 7 all'11 marzo furono di 446 ufficiali e 8.000 sottufficiali e truppa.
Le annotazioni di Valentino continuarono giorno dopo giorno. Il 6 aprile scrisse: "Entrata dei Germanici in guerra con la Grecia e la Jugoslavia". In effetti, senza alcuna dichiarazione di guerra i tedeschi invasero quel giorno i Balcani ed in poco tempo li occuparono. Il 18 aprile era firmato l'armistizio con la Jugoslavia, il 20 aprile infine, quello fra la Grecia e la Germania. In quel lasso di tempo vi fu la folle corsa delle armate italiane per recuperare il territorio albanese ancora occupato dai greci, e per entrare nel loro stato prima della firma dell'armistizio. Non vi riuscirono e giunsero a Ponte Perati il giorno successivo.
La pesante sconfitta di Mussolini era rimarcata ancora due giorni dopo - il 23 aprile - dall'ultimo bollettino emanato dal Comando Supremo Greco che nella sua parte finale comunicava: "E' accertato che al momento della capitolazione le forze italiane non erano riuscite ad entrare in territorio greco, ma erano state contenute dalle nostre truppe in territorio albanese".
Guglielmetti Valentino prima della campagna sul fronte greco/albanese era stato in Somalia nel 1936. Dopo l'8 settembre 1943 partecipò alle operazioni di liberazione sul territorio nazionale in forza al 115° Reggimento Artiglieria con altre unità ausiliarie. Morì a Prato Sesia il 15 febbraio 1989.